Purgatorio: Canto VIII

Era gia` l'ora che volge il disio
ai navicanti e 'ntenerisce il core
lo di` c'han detto ai dolci amici addio;

e che lo novo peregrin d'amore
punge, se ode squilla di lontano
che paia il giorno pianger che si more;

quand'io incominciai a render vano
l'udire e a mirare una de l'alme
surta, che l'ascoltar chiedea con mano.

Ella giunse e levo` ambo le palme,
ficcando li occhi verso l'oriente,
come dicesse a Dio: 'D'altro non calme'.

'Te lucis ante' si` devotamente

Purgatorio: Canto VII

Poscia che l'accoglienze oneste e liete
furo iterate tre e quattro volte,
Sordel si trasse, e disse: >.

l'anime degne di salire a Dio,
fur l'ossa mie per Ottavian sepolte.

Io son Virgilio; e per null'altro rio
lo ciel perdei che per non aver fe'>>.
Cosi` rispuose allora il duca mio.

Qual e` colui che cosa innanzi se'
subita vede ond'e' si maraviglia,
che crede e non, dicendo >,

tal parve quelli; e poi chino` le ciglia,
e umilmente ritorno` ver' lui,

Purgatorio: Canto VI

Quando si parte il gioco de la zara,
colui che perde si riman dolente,
repetendo le volte, e tristo impara;

con l'altro se ne va tutta la gente;
qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,
e qual dallato li si reca a mente;

el non s'arresta, e questo e quello intende;
a cui porge la man, piu` non fa pressa;
e cosi` da la calca si difende.

Tal era io in quella turba spessa,
volgendo a loro, e qua e la`, la faccia,
e promettendo mi sciogliea da essa.

Quiv'era l'Aretin che da le braccia

Purgatorio: Canto V

Io era gia` da quell'ombre partito,
e seguitava l'orme del mio duca,
quando di retro a me, drizzando 'l dito,

una grido`: lo raggio da sinistra a quel di sotto,
e come vivo par che si conduca!>>.

Li occhi rivolsi al suon di questo motto,
e vidile guardar per maraviglia
pur me, pur me, e 'l lume ch'era rotto.

>,
disse 'l maestro, che ti fa cio` che quivi si pispiglia?

Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
sta come torre ferma, che non crolla

Purgatorio: Canto III

Avvegna che la subitana fuga
dispergesse color per la campagna,
rivolti al monte ove ragion ne fruga,

i' mi ristrinsi a la fida compagna:
e come sare' io sanza lui corso?
chi m'avria tratto su per la montagna?

El mi parea da se' stesso rimorso:
o dignitosa coscienza e netta,
come t'e` picciol fallo amaro morso!

Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
che l'onestade ad ogn'atto dismaga,
la mente mia, che prima era ristretta,

lo 'ntento rallargo`, si` come vaga,

Inferno: Canto XXXII

S'io avessi le rime aspre e chiocce,
come si converrebbe al tristo buco
sovra 'l qual pontan tutte l'altre rocce,

io premerei di mio concetto il suco
piu` pienamente; ma perch'io non l'abbo,
non sanza tema a dicer mi conduco;

che' non e` impresa da pigliare a gabbo
discriver fondo a tutto l'universo,
ne' da lingua che chiami mamma o babbo.

Ma quelle donne aiutino il mio verso
ch'aiutaro Anfione a chiuder Tebe,
si` che dal fatto il dir non sia diverso.

Oh sovra tutte mal creata plebe

Inferno: Canto XXXI

Una medesma lingua pria mi morse,
si` che mi tinse l'una e l'altra guancia,
e poi la medicina mi riporse;

cosi` od'io che solea far la lancia
d'Achille e del suo padre esser cagione
prima di trista e poi di buona mancia.

Noi demmo il dosso al misero vallone
su per la ripa che 'l cinge dintorno,
attraversando sanza alcun sermone.

Quiv'era men che notte e men che giorno,
si` che 'l viso m'andava innanzi poco;
ma io senti' sonare un alto corno,

tanto ch'avrebbe ogne tuon fatto fioco,

Inferno: Canto XXX

Nel tempo che Iunone era crucciata
per Semele` contra 'l sangue tebano,
come mostro` una e altra fiata,

Atamante divenne tanto insano,
che veggendo la moglie con due figli
andar carcata da ciascuna mano,

grido`: la leonessa e ' leoncini al varco>>;
e poi distese i dispietati artigli,

prendendo l'un ch'avea nome Learco,
e rotollo e percosselo ad un sasso;
e quella s'annego` con l'altro carco.

E quando la fortuna volse in basso
l'altezza de' Troian che tutto ardiva,

Inferno: Canto XXIX

La molta gente e le diverse piaghe
avean le luci mie si` inebriate,
che de lo stare a piangere eran vaghe.

Ma Virgilio mi disse: perche' la vista tua pur si soffolge
la` giu` tra l'ombre triste smozzicate?

Tu non hai fatto si` a l'altre bolge;
pensa, se tu annoverar le credi,
che miglia ventidue la valle volge.

E gia` la luna e` sotto i nostri piedi:
lo tempo e` poco omai che n'e` concesso,
e altro e` da veder che tu non vedi>>.

>, rispuos'io appresso,

Inferno: Canto XXVIII

Chi poria mai pur con parole sciolte
dicer del sangue e de le piaghe a pieno
ch'i' ora vidi, per narrar piu` volte?

Ogne lingua per certo verria meno
per lo nostro sermone e per la mente
c'hanno a tanto comprender poco seno.

S'el s'aunasse ancor tutta la gente
che gia` in su la fortunata terra
di Puglia, fu del suo sangue dolente

per li Troiani e per la lunga guerra
che de l'anella fe' si` alte spoglie,
come Livio scrive, che non erra,

con quella che sentio di colpi doglie

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